La vegetazione cresce e si espande a seconda delle condizioni climatiche, dell'azione umana e della natura chimico-fisica del terreno. Il mondo vivente, che trae origine e alimento da quello vegetale, segue questo regno pioniere all’interno del complesso e vincolante ecosistema regolato dalle leggi naturali.
In montagna questa simbiosi, questa comunanza, viene accentuata dalle difficili condizioni ambientali che l’altitudine continuamente modifica.
Ci troviamo di fronte ad un sistema di relazioni delicato, sempre in precario equilibrio e in continua evoluzione e degrado. Una situazione eccezionale alla quale le genti delle vallate alpine si sono progressivamente adattate selezionando colture, qualificando prodotti, proteggendo le specie. Poi arrivò il turismo (fretta + consumo) che portò benessere, ma modificò economia e comportamenti sociali, così il paziente, duro, tenace e capace modello di uso biologico del territorio iniziò a scomparire.
E con esso scomparvero alcuni usi, prodotti, uomini, animali, professioni, parole e piante.
Se la trasformazione economica determina, con la scomparsa di certe coltivazioni e tradizioni, una mutazione cromatica e paesaggistica (e culturale), non per questo la complessità vegetale viene sminuita.
Tantomeno a Forni dove la vegetazione trae varietà e ricchezza dalla differenza dei terreni che costituiscono la conca fomese.
La diversa natura del suolo del nostro territorio, con l’esposizione, l’umidità e l’altitudine, favorisce una molteplicità di associazioni floristiche, tra cui spiccano, quale antico retaggio glaciale, alcune specie rare e vari endemismi.
Con tutta questa varietà di piante le fioriture si susseguono, diverse, dall’una all’altra stagione, colorando la valle di incredibili sfumature.
A primavera, nelle zone più basse, è il trionfo dei «crocus» bianchi e violacei (siàngalas), del cupo blu delle «genziane» (sclòps), cui seguono le purpuree «orchis», i grappoli rosati dell’erica» (ridusiéla), i dorati «ranuncoli», le gialle «viole» e i bianchissimi «mughetti» (mangarìtas).
Nascosta tra i mughi occhieggia qua e là la rara «scarpetta di Venere» e il bellissimo «giglio dorato», che si spera non vengano distrutti da mani rapaci.
Più in alto il «maggiociondolo» riempie di giallo profumo i fianchi della valle.
D’estate la fioritura si fa più ricca, i prati più odorosi con le varie «orchidee», i «gigli bianchi», il «martagone», le «aquilegie», le «margherite» (che d’autunno cedono il posto a seconde fioriture con le tinte pallide del colchico e il colbato della genziana).
Ai piedi delle secolari abetaie fanno da contrappunto al variegato verde gli «anemoni» bianchi e azzurri, la rossa «pulmunaria», il giallo «digitale», la delicata «rosa canina» e il blu delle «campanule»; i «ciclamini» che punteggiano le radure dove cresce la «fragola» (fràja), il mirtillo (glàsina) e il lampone (mùia).
Frequenti varie specie di funghi, indispensabili compagni del bosco, oggetto purtroppo di una sconsiderata raccolta, dove non manca il lucro e la mania: quello che manca, forse, è il senso della misura.
Ma i colori più impensabili, le forme più strane sono in alto, dove il sole è più caldo e l’ombra più fredda, al di sopra della fascia boschiva, dove vegetano mughi e lanci, rododendri e mirtilli bianchi, salici nani e la rosa alpina. Qui le piccole, tenaci piante alpine, frenate dal nanismo di alta quota, concentrano tutta la loro forza sulla intensità cromatica: dalle viola soldanelle ai papaveri gialli, dagli odorosi cuscinetti di garofani alle varie sassifraghe, dall’azzurro delle genziane all’oro di quella maggiore dalla tonica radice officinale (da non confondere col mortale veratro). Poi il profumo delle nigritelle, delle corolle aranciate dell’arnica, dei gialli ranuncoli e via via fino ai raponzoli e alla argentea stella alpina, simbolo delle Alpi (motivo quest’ultima, ma non solo questa, di spietata raccolta che offende l’intelligenza).
Come per le piante anche nel regno animale dobbiamo riconoscere gli indispensabili compagni di viaggio su questo pianeta che non è solo nostro.
La montagna fornese è popolata di varie specie fra le quali spiccano il camoscio e il gallo cedrone: tipici rappresentanti della fauna alpina (assieme a pernici, lepri bianche e galli forcelli) che meritano maggior rispetto, evitando catture e turistici rumori.
Sopra le rocce, dove l’aria è più limpida e i suoni più puri volteggiano i corvi imperiali e i gracchi di montagna, i crinali sono percorsi da erratici cervi e popolati da alcune colonie di stambecchi importati dal parco del Gran Paradiso e stanziati, per ora, in zona Parco.
Altri abitanti delle foreste montane minacciati dall’avanzante civiltà industriale sono i rapaci diurni (l’aquila, che caccia le marmotte recentemente reintrodotte, i veloci falchi, le maestose poiane) equelli notturni (le civette e l’eccezionale gufo reale), i molteplici uccelli che reti friulane e inquinamento stanno decimando, le volpi sempre presenti, le poche lepri e i tenaci tassi, i piccoli mammiferi che vanno dallo scoiattolo, alla martora, all’ermellino che preda le arvicole e giù giù fino agli animali minori come la rana, le lumache (boaràchs), il rarissimo gambero, il ghiozzo (al marsòn), le utilissime formiche e la sterminata famiglia degli insetti.
Tutte queste preziose presenze sono esaltate e valorizzate dal grande «Parco Regionale delle Dolomiti Friulane», teso a proteggere le bellissime, selvagge e incontaminate zone comprese fra i fiumi Tagliamento e Cellina coinvolgendo una decina di comuni tra cui Forni dì Sopra.
Per la verità esiste anche, contemplato dal Piano Urbanistico Regionale, un «ambito di tutela ambientale» ora SIC comunitario, fra Clapsavòn e Tìàrfin quale zona di particolare pregio naturalistico meritevole di protezione.
Attualmente la «difesa» di quell’area è affidata a..."militari", che la usano in maggio e ottobre quale poligono di tiro (per armi pesanti) del «monte Bivera».
Ma: "na i un mal ca na sepi un ben".
Infatti, forse questa presenza ha evitato che quei pascoli (Casera Razzo e Mediana) venissero turisticamente "valorizzati" e si riempissero di condominii, di impianti di risalita, di liquami, di lattine...
Sempre da quelle parti i più esigenti, e caparbi, possono verificare il rugoso fenomeno dell’orogenesi e ricercare l’origine di queste montagne alle falde del Clapsavòn dove, osservando pazientemente, è possibile imbattersi in strani fossili marini del Triassico.
E questo non significa (o forse si?) che "al màr la ca li stat al pò torna"(antico detto fornese) ma solo che queste montagne sono emerse dal fondo del mare, sotto l’enorme spinta della deriva continentale, alcuni milioni di anni fa.
Oggi invece frequentando i monti e i boschi di Forni con la necessaria attenzione e curiosità, e il dovuto silenzioso rispetto, sono possibili sorprendenti incontri e impensabili scoperte: animali, piante, case, rocce: l’impronta umana e l’opera della natura.
Chi ha spirito di osservazione, senso naturalistico, predisposizione alla custodia e non alla asportazone, alla conservazione piuttosto che alla distruzione, ritroverà nel silenzio dei sentieri alpini, nel profumo dei fiori, nel fluire dell’acqua ritmi sconosciuti e antiche armonie.